Questa analisi, curata e presentata alla Terrazza Martini di Milano il 26 novembre scorso dalla Provincia e dalla Camera di Commercio di Piacenza, dall’Università Cattolica e dalla Federazione Provinciale coltivatori Diretti, dall’Unione Provinciale Agricoltori, dalla Confederazione Italiana Agricoltori, sempre di Piacenza, ha, evidentemente, non solo stupito ma anche dato vita ad una serie di considerazioni ampliamente in antitesi con l’immaginazione popolare che vede il prodotto pomodoro legato alla Campania. Dalla lettura del confronto fra le aree produttive regionali italiane (fonte ISTAT), in effetti, si legge che la Puglia è produttrice del 44%, l’Emilia Romagna del 20%, segue la Campania con il 6%, il pool Calabria, Lazio, Lombardia, Basilicata presentano il 4%, Sicilia e Toscana il 3%, il Veneto il 2% e la sommatoria delle regioni restanti danno il 6% del totale nazionale.
Il tutto per un globale 5.980.430 tonnellate di prodotto. Altro discorso è la fase della lavorazione, ovvero la migrazione del prodotto verso le regioni e le province votate alla fase dell’inscatolamento e dell’etichettatura del prodotto.
Questo recente dato avvalora ancor più la tesi dell’impossibilità per il pizzaiolo e per le pizzerie di poter realizzare e produrre pizze che possano rispettare i canoni richiesti dalla doc napoletana. A questi dati si aggiungono e si frammistano le produzioni del resto del mondo, cosa non da poco se dobbiamo tenere presente il giochino dell’import-export: gli Stati Uniti sono in testa con 10,3 (milioni di tonnellate), segue la Cina con l’8,9 (sempre di milioni di tonnellate) la Turchia con il 6,3; la ex-URSS il 5,6; altri importanti produttori sono l’Egitto con 4,6; la Spagna con il 3,1 il Brasile con il 2,5; la Grecia con l’1,8 e il Messico con l’1,5. In effetti già alcuni mesi addietro si riportava la denuncia espressa dall’Associazione Nazionale Industrie Confezioniere di alimenti vegetali secondo la quale il pomodoro San Marzano viene prodotto e così impropriamente etichettato da paesi come la Spagna, la Turchia, gli Stati Uniti e il Cile: tali confezioni non risultano nè prodotte nè tantomeno trasformate in Italia. Comunque, al di là della produzione, l’Italia è il secondo Paese trasformatore al mondo dopo gli Stati Uniti con 9,7 milioni di tonnellate (fonte: Oro Pomodoro 1995).
Eppure, la stragrande maggioranza dei professionisti della pizza, se non è a conoscenza diretta della realtà di questo mercato, una volta aperta la scatola di pelati e buttata la latta, è tuttavia convinta di usare prodotto campano.
I quattro/quinti delle pizze in menu nei locali sono pizze rosse, ovvero pizze con pomodoro, le altre, chiamate genericamente pizze in bianco, sono pizze ai formaggi o alle verdure, ma similarmente proprio perchè il pomodoro è il punto di riferimento queste ultime vengono considerate più alla stregua di focacce e schiacciate. Le domande – tendenze degli operatori della ristorazione in generale portano ad alcune rilevazioni sulle caratteristiche e sulle scelte perseguite: è in diminuzione costante la richiesta di concentrato, avvertono una decisa stabilità i pelati e i sughi pronti, mentre sono in crescita le passate e le polpe di pomodoro. Secondo il Laboratorio di Economia Locale dell’Università Cattolica di Piacenza, le leve di successo di questo prodotto sono il prezzo: la naturalezza come punto di riferimento, il contenuto di servizio, l’innovazione di prodotto, il tutto risponde altresì ad alcune caratteristiche della domanda stessa: la stagionalità, la grande competizione interna e l’assenza di forti sostituti.
Originario delle Ande, il pomodoro fu addomesticato in Messico e i navigatori spagnoli lo portarono dal Nuovo Mondo insieme a tante altre misteriose piante. Ebbero, tuttavia, una funzione essenzialmente decorativa e l’aristocrazia culinaria lo avrebbe ignorato sino al 1694, quando, secondo lo storico e giornalista Massimo Alberini, apparve la prima citazione nello “Scalco alla moderna” di Antonio Latini, cavaliere marchigiano: come preparazione, il pomodoro viene associato alle melanzane e alle zucchine. Non è molto dissimile la ricetta suggerita da Francesco Gaudenzio nel “panunto toscano” del 1704. Nel “Cuoco galante” di Vincenzo Corrado, datato 1773, il pomodoro (comunque, sempre giallo) è nobilitato in una dozzina di preparazione, in nessuna delle quali entra la pasta. Dopo di chè ecco il pomodoro condire vermicelli napoletani (“Cucina teorico pratica” di Ippolito Cavalcanti, 1839), e poi apparire sulla pizza intorno al 1850 sempre a Napoli. La presentazione della pizza “margherita” alla reale corte di Capodimonte, a cura del maestro pizzaiolo Raffaele Esposito, sancì e pubblicizzò a oltranza l’utilizzo del pomodoro nelle preparazioni alimentari.
L’episodio fu così grandemente riportato che da qui si instaurò anche la convinzione che la pizza e il pomodoro “rosso” fossero prodotti a valenza esclusivamente napoletana. Singolare, in questo contesto, tra l’altro, il documento datato 1927 redatto dal professor Renato Rovetta che scriveva: “…in nessun Paese il pomodoro sa essere saporito come da noi, con i suoi grossi frutti carnicini giallo-scarlatti e, rivelava ancora il professor Rovetta, negli Stati Uniti si è giunti a dare il concentrato di pomodoro anche ai lattanti, invece dei soliti infusi di orzo, carota o del succo d’arancia.” Negli anni successivi le varietà gialle sarebbero state definitivamente abbandonate per il tutto rosso del tipo genericamente detto “San Marzano”. Nel 1956 dagli Stati Uniti arrivava la varietà “Roma” e quindi la scienza genetica avrebbe creato le varietà finalizzati agli impieghi moderni e attuali, in cucina come nella trasformazione industriale. Nota salutistica: il pomodoro oltre al suo valore alimentare possiede molte proprietà salutari, infatti è molto ricco di vitamine A e C (la più alta concentrazione di vitamina C si trova nella sostanza gelatinosa che circonda i semi), contiene in parte vitamine PP e molti sali minerali (potassio, ferro, fosforo, ecc.). Si dice che il consumo di pomodoro contribuisca altresì a rendere più fluido il sangue e maggiormente elastiche le arterie.
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