I locali pubblici si ribellano:
«La legge del ’75 non è per noi»
di CORRADO GIUSTINIANI dal Messaggero
Ristoratori, baristi e pizzettari insorgono: nei nostri locali si può fumare, checché ne dica il ministro della Salute Girolamo Sirchia. Quella è stata un’altra giornata di passione, dopo le quasi 500 ispezioni effettuate lunedì dai Nas in aeroporti, ospedali, cinema, biblioteche e uffici postali, per far rispettare la vecchia legge 584 del 1975 che vieta il fumo nei luoghi pubblici. Ma la Fipe, Federazione dei pubblici esercizi aderenti a Confcommercio, fa sapere che in almeno tre casi sono stati “violati” anche i posti di ristoro, non esplicitamente menzionati dalla 584.
«E’ accaduto 15 giorni fa a Genova e più di recente a Foggia e nel Barese – afferma Edi Sommariva, che della Fipe è il direttore generale – Gli interventi e le relative multe sono state comminate da carabinieri semplici e non dai Nas. Aspettiamo i verbali per capire. Ma, intanto, riceviamo decine di telefonate dai nostri associati. Nei bar e nei ristoranti i clienti protestano e chiedono l’intervento degli esercenti, se qualcuno fuma. Un assurdo, generato dalle affermazioni del ministro Sirchia…».
E qui facciamo un passo indietro. Con l’articolo 52 della Finanziaria, il governo ha notevolmente innalzato le multe per chi trasgredisce il divieto. Per i fumatori, la sanzione della legge del 1975, che era compresa fra le 4 e le 10 mila lire, adesso oscilla da 25 a 250 euro. Per chi ha la responsabilità di far rispettare il divieto, la stangata diventa micidiale: prima variava da 20 a 100 mila lire, adesso da 200 a 2000 euro (e cioè, per chi ha ancora le lire in testa, a poco meno di 4 milioni).
Ma dove non si può fumare? L’elenco della legge 584 è lunghissimo: corsie degli ospedali, aule scolastiche, autoveicoli statali e pullman che fanno servizio pubblico, metropolitane, stazioni e aeroporti, vagoni riservati ai non fumatori, cuccette e carrozze letto, locali chiusi adibiti a pubbliche riunioni, cinema, teatri, sale da ballo, sale corse, musei, biblioteche, pinacoteche. Nei locali chiusi adibiti a pubblica riunione, però, c’è la possibilità di fumare installando un impianto di condizionamento o di ventilazione omologato e approvato dal ministero della Sanità (articolo 3 della legge 584).
Il punto è: i pubblici esercizi non sono dei locali chiusi e aperti al pubblico? “Assolutamente no – dichiara sicuro Sommariva – Altrimenti la legge avrebbe fatto esplicito riferimento ai luoghi di ristoro, e il ministro Veronesi non avrebbe presentato un disegno di legge, non approvato dal Parlamento, per estendere il divieto ai ristoranti, che un collega di Sirchia, il ministro Giovanardi, vuole rilanciare». Nel ’95, continua Sommariva, furono inclusi nel divieto, con direttiva di Palazzo Chigi, anche locali privati aperti al pubblico, per esempio le banche, ma solo dove si riscuotono le imposte. Gli esercizi che somministrano cibi e bevande rimasero esclusi, con tanto di telegramma del ministero della Sanità. Sulla stessa linea di Sommariva è Tullio Galli, della Confesercenti.
Ma non la pensa così il ministro Sirchia. Per lui, questa dei locali aperti al pubblico è una “zona grigia” della vecchia legge del ’95. Ma ciò che questa tace, ha detto il ministro in televisione, lo afferma esplicitamente la legge 626, quella sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Anche baristi, cassieri e camerieri hanno diritto a non respirare fumo e dunque il divieto c’è. Lo si può evitare solo se i locali impianteranno un sistema di areazione che consenta un ricambio di 80 metri cubi d’aria all’ora. Sirchia sta lavorando a un provvedimento che preveda tutto questo.
Ieri sera il ministro ha confermato la sua versione, lanciando un ulteriore messaggio: «Non voglio varare delle norme contro i pubblici esercizi, ma in accordo con loro, assieme a loro. Li convocherò». Che ne pensa Sommariva? «Sia chiaro, noi non siamo contro il divieto di fumo. Ma accetteremo solo un provvedimento graduale e flessibile».
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